LA CORTE D'APPELLO DI TRIESTE 
 
                         Collegio di Lavoro 
 
    Composta dai signori magistrati: 
      dott. Mario Pellegrini - Presidente; 
      dott. Lucio Benvegnu' - Consigliere; 
      dott. Andrea Doardo - Giudice ausiliario relatore. 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa  in  materia  di
previdenza iscritta al n. 132 del Ruolo 2017, promossa in questa sede
di appello con ricorso depositato il 15 giugno 2017 da Milo  Claudio,
rappresentato e difeso dagli avv.ti Giulia Milo e Chiara Centrone per
mandato a margine del ricorso in appello, - appellante; 
    Contro Regione Autonoma Friuli-Venezia  Giulia,  in  persona  del
Presidente  in  carica,  rappresentata   e   difesa   dall'Avvocatura
distrettuale dello Stato di Trieste, - appellata. 
 
                       Motivi della decisione 
                (art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87) 
 
    1. L'appellante sig. Claudio Milo ha  convenuto  in  giudizio  la
Regione  Friuli-Venezia  Giulia  chiedendo  l'accertamento  del   suo
diritto a percepire la pensione  integrativa  ai  sensi  della  legge
regionale n. 53/1981 e dell'art. 100 della legge regionale n. 18/1996
come interpretato autenticamente dall'art. 12 della  legge  regionale
n.  27/2014  e,  conseguentemente,  la  condanna  della  regione   al
pagamento delle somme dovute, nonche'  alla  restituzione  di  quanto
indebitamente trattenuto a partire dal 1° settembre 2014. 
    A sostegno della sua pretesa il ricorrente ha dedotto: 
        a. di essere stato dipendente, con la qualifica di dirigente,
della Regione Friuli-Venezia Giulia e cio' da epoca anteriore  al  1º
ottobre 1990, e di essere stato collocato  in  quiescenza  dopo  tale
data; 
        b. che la  retribuzione  da  lui  percepita  in  costanza  di
rapporto  di  lavoro  comprendeva  anche  l'indennita'  di   funzione
dirigenziale, in origine non considerata pensionabile dall'Inpdap, ma
qualificata come tale dalla Regione  Friuli-Venezia  Giulia  con  gli
articoli 21, 25 e 140 della legge regionale n. 53/198; 
        c. che in seguito l'Inpdap ha  fatto  rientrate  la  suddetta
indennita' nella retribuzione pensionabile a decorrere dal 1º ottobre
1990 (per cui la regione  ha  trasferito  all'Istituto  i  contributi
pagati dai dirigenti a partire da quest'ultima data); 
        d.  che  di  conseguenza  l'art.  100  comma  1  della  legge
regionale n. 18/1996 ha abrogato l'art. 140 commi  1,  2,  3  e  4  e
l'art. 143, comma 1, 2° periodo, della legge  regionale  n.  53/1981,
facendo pero' salvo (al  comma  2)  il  diritto  dei  dirigenti  gia'
cessati dal servizio entro  il  30  settembre  1990  a  continuare  a
percepire i trattamenti gia' loro concessi ai sensi della  disciplina
abrogata e (al comma 4) il diritto  dei  dirigenti  cessati  dopo  la
suddetta data, i quali avessero pero' gia' maturato i  requisiti  per
il trattamento pensionistico regionale, a ricevere  un  assegno  pari
alla  differenza  «tra  l'ammontare  del  maturato  ai  sensi   della
normativa di cui all'art. 140 della  legge  regionale  n.  53/1981  e
l'incremento  di  pensione  spettante  dall'Inpdap-  CPDEL   con   la
valutazione dell'indennita' di funzione»; 
        e.  di  avere  quindi  percepito,  dopo  il  collocamento  in
quiescenza, l'assegno pensionistico integrativo  regionale  ai  sensi
dell'art. 100 della legge  regionale n.  18/1996,  in  aggiunta  alla
pensione erogata dall'Inpdap; 
        f. che l'art. 12 comma 3 della legge regionale n. 15/2014  ha
abrogato l'art. 100, commi 1, 3 e 4 della legge regionale n. 18/1996,
facendo cosi' venire meno (a decorrere dal 1º  settembre  2014,  come
previsto  nel  successivo  comma  5)   il   trattamento   integrativo
regionale, ma lo ha fatto salvo per i dirigenti cessati dal  servizio
entro il 30 settembre 1990  (tutelati  dall'art.  100  comma  2,  non
abrogato dalla  legge  regionale  n.  15/2014)  e,  a  seguito  della
modifica introdotta dall'art. 12 comma 1  della  legge  regionale  n.
27/2014, per il «personale cessato dal  servizio  nei  cui  confronti
l'Inpdap non ha riconosciuto nell'imponibile  pensionabile  utile  ai
fini  della  determinazione  della  quota  A  di  pensione  l'importo
dell'indennita' di funzione o di posizione»; 
        g.  che  si  deve  pertanto  ritenere  che,  in   virtu'   di
quest'ultima norma, egli  abbia  nuovamente  diritto  al  trattamento
integrativo di cui all'art. 140 della legge regionale n. 53/1981; 
        h. che in caso contrario l'art. 12 commi 3 a  5  della  legge
regionale  n.  15/2014  dovrebbe  essere  ritenuto   illegittimo   in
relazione  agli  articoli  3,  11,  23,  36,  38,  53  e  117,  della
Costituzione, avendo violato il principio  comunitario  di  legittimo
affidamento; il principio di certezza del diritto sancito dalla CEDU;
il riparto di  competenze  fra  Stato  e  Regione;  il  principio  di
ragionevolezza come limite alla  modifica  dei  diritti  quesiti;  le
norme fondamentali di riforma economico sociale contenute nella legge
n. 421/92; il principio di proporzionalita' della retribuzione  e  di
adeguatezza  del   trattamento   pensionistico;   il   principio   di
universalita'  e  di  corrispondenza  alla   capacita'   contributiva
dell'imposizione fiscale; 
    Si e' costituita in giudizio  la  Regione  Friuli-Venezia  Giulia
replicando, in sintesi, che l'art. 12 comma 3 della  legge  regionale
n. 15/2014 ha abrogato la disciplina  previgente  perche'  comportava
degli oneri non piu' giustificabili a carico della finanza  pubblica,
in contrasto con le norme fondamentali di riforma economico sociale e
con il principio di economicita' delle gestioni previdenziali; e  che
non vi e'  stata  alcuna  violazione  del  principio  di  tutela  del
legittimo affidamento ne' del canone di  ragionevolezza,  essendo  al
contrario   l'intervento   legislativo   oggetto    di    discussione
giustificato (e  imposto)  dalla  necessita'  di  salvaguardia  degli
equilibri di bilancio e di contenimento della spesa  pubblica  (tanto
piu'  che  la  prestazione  rivendicata   costituiva   una   indebita
duplicazione di importi gia'  riconosciuti  dall'ente  previdenziale,
essendo il ricorrente titolare  di  una  pensione  calcolata  con  il
sistema retributivo); e che neppure sono stati violati i principi  di
uguaglianza, di proporzionalita' della retribuzione,  di  adeguatezza
del trattamento pensionistico  e  di  corrispondenza  alla  capacita'
contributiva. 
    2. I dubbi di costituzionalita' sollevati dal ricorrente in primo
grado sono certamente rilevanti ai fini  della  decisione;  l'odierna
appellante chiede infatti di ottenere nuovamente (e di conservare per
il futuro)  il  trattamento  pensionistico  integrativo  previsto,  a
carico della regione, dall'art. 100 commi 3 e 4 della legge regionale
n. 8/1996, abrogati dall'art. 12 comma 3  della  legge  regionale  n.
15/2014:   e   pertanto   solo    eliminando    quest'ultima    norma
dall'ordinamento,  tramite  una   dichiarazione   di   illegittimita'
costituzionale, egli potrebbe conseguire il risultato  perseguito  in
causa (e cioe' il riconoscimento del suo diritto a percepire  ancora,
in base al citato art. 100  della  legge  regionale  n.  18/1996,  la
differenza fra il trattamento stabilito  dall'art.  140  della  legge
regionale  n.  53/1981   e   l'incremento   derivante   dal   computo
dell'indennita' dirigenziale nella pensione erogata dall'Inpdap, oggi
Inps). 
    3. Le questioni sollevate dall'appellante non sono manifestamente
infondate. A questo proposito si deve ricordare, in linea generale: 
        3.a che il legislatore puo' modificare in  senso  sfavorevole
la disciplina dei rapporti di  durata,  anche  incidendo  su  diritti
soggettivi perfetti previsti da leggi precedenti, a condizione di non
introdurre una disciplina irrazionale e arbitraria «frustrando  cosi'
anche l'affidamento  del  cittadino  nella  sicurezza  giuridica  che
costituisce elemento fondamentale e  indispensabile  dello  Stato  di
diritto» (cosi' Corte costituzionale n. 179/1996; nello stesso  senso
le pronunce n. 206/2009 e n. 166/2012); 
        3.b che le esigenze di bilancio e di contenimento della spesa
pubblica  possono  giustificare  un  intervento  del  legislatore  su
posizioni soggettive consolidate, purche' il sacrificio  imposto  sia
ragionevole  (ovvero  non  arbitrario),   eccezionale   (o   comunque
temporaneo) e proporzionato (cosi' Corte costituzionale n.  245/1997,
n. 299/1999, n. 92/2013); 
        3.c che un'imposizione tributaria, sotto forma  di  riduzione
di un trattamento retributivo o pensionistico finalizzato a garantire
l'equilibrio di bilancio e il contenimento della spesa  pubblica,  e'
legittima a condizione di non essere irragionevole e di rispettare  i
principi sanciti dagli articoli 3, 36 e  38  della  Costituzione  (in
questo senso Corte costituzionale n.  223/2012,  116/2013,  304/2013,
154/2014). 
    3.2. Nel caso in esame si puo' effettivamente dubitare che questi
limiti siano stati rispettati dal legislatore regionale. 
    Sul punto si deve infatti osservare: 
        3.2.a che il sacrificio imposto  all'appellante  non  e'  ne'
eccezionale, ne' temporaneo, poiche' l'art. 12  commi  3  e  5  della
legge regionale n. 15/2014 non ha previsto una riduzione  transitoria
e parziale della pensione  integrativa  a  lui  spettante  in  virtu'
dell'art. 100 commi 3 e 4 della legge regionale  n.  18/1996,  ma  ha
radicalmente e definitivamente eliminato il diritto, in contrasto con
il legittimo affidamento del titolare sulla  certezza,  stabilita'  e
adeguatezza  della   sua   posizione   (gia'   retributiva   e   ora)
previdenziale; 
        3.2.b  che   il   legislatore   regionale   ha   creato   una
irragionevole  disparita'  di  trattamento,  poiche',  fra  tutti   i
dirigenti   che   hanno   versato    i    contributi    previdenziali
sull'indennita' della legge n. 53/1981 fino al 30 settembre 1990,  ha
inciso solo sulla posizione di coloro che  (come  l'appellante)  sono
andati in pensione dopo quella data (nonostante  la  loro  posizione,
riguardo ai contributi versati in epoca  anteriore,  sia  identica  a
quella dei colleghi cessati dal servizio prima del 1º ottobre  1990);
e  ancora  perche'  -  trattandosi  di   un'imposizione   di   natura
evidentemente tributaria (alla luce dei criteri fissati  dalla  Corte
costituzionale nelle pronunce sopra citate) - non risulta (e  non  e'
stato espressamente allegato dalla regione) che un analogo sacrificio
sia stato imposto -  allo  scopo  di  ridurre  la  spesa  pubblica  e
garantire l'equilibrio di bilancio - ad altri  soggetti  equiparabili
sotto il profilo  della  loro  posizione  (attuale  o  pregressa)  di
dipendenti dell'Ente e delle condizioni personali di reddito; 
        3.2.c che nessuna specifica allegazione  e'  stata  formulata
dalla regione in  ordine  alla  proporzionalita'  e  adeguatezza  del
sacrificio imposto all'appellante rispetto agli obiettivi  perseguiti
dall'art. 12 della legge regionale n. 15/2014. 
    Nulla e' dato sapere infatti riguardo  al  costo  della  pensione
integrativa oggetto di causa,  e  quindi  al  risparmio  conseguibile
dall'Ente grazie alla sua  eliminazione;  riguardo  all'incidenza  di
questo costo sul bilancio  regionale  e  sull'equilibrio  finanziario
dell'ente (con particolare riferimento ai trattamenti  retributivi  e
previdenziali erogati); e soprattutto riguardo  al  rapporto  fra  la
pensione integrativa corrisposta all'appellante in base all'art.  100
commi 3 e 4 della legge regionale n. 18/1996 e i  contributi  da  lui
versati fino al 30 settembre 1990 in base  alla  legge  regionale  n.
53/1981 (contributi che la regione ha trattenuto,  avendo  trasferito
all'Inpdap solo quelli relativi al periodo successivo) e quindi  alla
coerenza fra accantonamenti (del passato) e prestazioni gia' eseguite
e da erogare in futuro. 
    3.3 Il legislatore regionale ha quindi violato - in ipotesi - gli
articoli 3, 36 comma 1, 38 comma 2 e 53 della Costituzione perche' ha
trattato in modo diverso situazioni identiche, intervenendo, solo per
alcuni soggetti, su un diritto ormai acquisito: ha leso il  legittimo
affidamento dell'appellante  (e  degli  altri  pensionati  nella  sua
stessa   situazione)   riguardo   alla    certezza    e    stabilita'
dell'ordinamento; ha introdotto un peso di natura tributaria, tale da
incidere   sulla   adeguatezza   della   posizione   retributiva    e
previdenziale degli obbligati, solo per una  specifica  categoria  di
contribuenti e senza effettuare e prevedere una qualche forma di equo
bilanciamento di interessi. 
    4. I dubbi di costituzionalita' sollevati dall'appellante sin dal
primo grado  non  possono  essere  risolti,  come  da  lui  proposto,
utilizzando, in funzione interpretativa adeguatrice, l'art. 12  comma
1 della legge regionale n. 27/2014. 
    A questo riguardo si deve tenere presente  che  l'interpretazione
costituzionalmente orientata e' consentita (e doverosa) a  condizione
che si tratti di una vera interpretazione e cioe' della  scelta,  fra
piu' significati della norma  possibili  e  compatibili  con  il  suo
tenore letterale e con il contesto in  cui  e'  inserita,  di  quello
conforme ai principi sanciti dalla Costituzione. 
    Nel caso in esame il testo dell'art.  100  comma  2  della  legge
regionale n. 18/1996, come modificato  dall'art.  12  comma  1  della
legge regionale n. 27/2014, e' assolutamente  chiaro  e  univoco  nel
riferirsi solo ed  esclusivamente  a  coloro  cui  l'Inpdap  «non  ha
riconosciuto  nell'imponibile  pensionabile  utile  ai   fini   della
determinazione della quota A di pensione l'importo dell'indennita' di
funzione o di posizione» e in questa categoria certamente non rientra
l'appellante,  cui  pacificamente  l'Inps  (gia'  Inpdap)  eroga  una
pensione determinata (con il sistema retributivo) tenendo conto anche
dell'indennita'  dirigenziale  prevista  dalla  legge  regionale   n.
53/1981. 
    Oltre al dato letterale vi e' da considerare anche  un  argomento
sistematico;  interpretata  nel  senso  voluto  dal  sig.  Milo,   la
disciplina risultante dal combinato disposto dell'art.  100  comma  2
della legge regionale n. 18/1996, come integrato dall'art. 12 comma 1
della legge regionale n. 27/2014, e dell'art. 12 commi 3  e  5  della
legge  regionale   n.   15/2014   sarebbe   palesemente   assurda   e
contraddittoria: il legislatore regionale, infatti, avrebbe,  da  una
parte, eliminato (abrogando l'art.  100  commi  3  e  4  della  legge
regionale n. 18/1996 mediante l'art. 12 comma 3 della legge regionale
n. 15/2014) la pensione  integrativa  prevista  dall'art.  140  della
legge regionale n.  53/1981  (che,  va  ricordato,  compete  solo  ed
esclusivamente a un numero ben definito  e  chiuso  di  ex  dirigenti
regionali,   fra   cui   l'appellante)   e,   dall'altra,   l'avrebbe
reintrodotta (tramite l'art. 12  comma 1  della  legge  regionale  n.
27/2014) per i medesimi soggetti (che sono, si ripete,  gli  unici  a
beneficiarne). 
    In sintesi la Regione Friuli-Venezia Giulia avrebbe  prima  tolto
la pensione integrativa all'appellante (e agli altri dirigenti  nella
sua stessa posizione), e cio' «ai fini del contenimento  della  spesa
pubblica e nel rispetto dei principi fondamentali di coordinamento di
finanza  pubblica»,  e  poi,  smentendo  se  stessa  e  le  finalita'
espressamente dichiarate nell'art. 12 comma 3 della  legge  regionale
n. 15 del 4 agosto 2014, l'avrebbe subito reintrodotta con l'art.  12
comma 1 della legge regionale 30 dicembre 2014, n. 27;  il  risultato
sarebbe una sorta di corto circuito legislativo, poiche'  l'art.  100
comma  2  della  legge  regionale  n.  18/1996   darebbe   di   nuovo
all'appellante cio' che i successivi commi  3  e  4  (ormai  abrogati
dall'art. 12 comma 3 della legge  regionale n.  15/2014,  tuttora  in
vigore) non concedono piu' a partire  dal  1º  settembre  2014  (come
stabilisce  l'art.  12  comma  5  della  medesima  legge   regionale,
anch'esso mai abrogato e quindi vigente). 
    E' quindi inevitabile rimettere la valutazione della legittimita'
dell'art. 12 commi 3 e 5 della legge regionale n. 15/2014 alla  Corte
costituzionale.